(Anche io, però, me le vado proprio a cercare.)
Avete passato un buon Natale?
Io abbastanza, nonostante l’incognita del pranzo solo-a-solo con mammà e i soliti pensieri che mi vengono sempre a Natale da un po’ di anni a questa parte (e con cui non ho ancora imparato a convivere).
È dopo che sono stata male.
Che sto tuttora male.
Tutta colpa del fudge.
Il pre-Natale è stato un gran successo, dal punto di vista della cucina. Per un paio di occasioni ho preparato delle nuove torte salate (una flamiche e due cake) che sono venute benissimo e, per una pigrona come me, poter aggiungere al repertorio tre nuove ricette in un colpo solo è stato sicuramente un risultato notevole. Ispirata e motivata da questo successo, ho pensato che potevo produrre anche qualche regalino randagio, visto che un buon 60% degli auguri riesco a farli solo dopo Natale, ché a me personalmente fa sempre tanto piacere ricevere qualcosa fatto dalle manine sante di chi mi vuol bene.
Così ho consultato un po’ di riviste di stagione e ho deciso.
Il fudge.
Questo sarebbe stato l’anno del fudge.
Che poi, il fudge, chi l’ha mai assaggiato? Leggendo la ricetta mi ero fatta l’idea che fosse una via di mezzo tra il mou e il cioccolato (e già questo avrebbe dovuto farmi riflettere). Ma siccome sicuramente nessuno, tra i probabili destinatari, avrebbe saputo di che si trattava, l’evangelizzatrice gastronomica in me s’è subito galvanizzata e issofatto è andata a comprare gli ingredienti.
Seconda occasione di riflessione buttata al macero.
La ricetta chiedeva mezzo litro di panna e mezzo chilo di zucchero. Poi, bontà sua, pure 150 grammi di cioccolato bianco. E mezzo bicchierino di Baileys, giusto per far impazzire il contatore delle calorie.
Con ingredienti così, come avrei potuto pensare di produrre qualcosa di anche solo lontanamente commestibile?
Ma niente, il giorno di santo Stefano mi sono rimessa ai fornelli. E l’Ordalia del Fudge è cominciata.
Che si sappia: mai mettersi a pasticciare con lo sciroppo di zucchero senza avere un termometro da caramelle. Come si chiama in italiano? Pesazucchero? Quella roba lì. Io avevo solo un modesto termometro da yogurt e quindi quel che è successo nella pentola superati i 100° resterà per me sempre un mistero. La ricetta diceva di far raggiungere al miscuglio i 130°, dando anche l’indicazione più nasometrica della media bolla; ma diceva anche di non rimestare più, una volta raggiunta l’ebollizione. E invece io ho rimestato eccome, altrimenti quando intingevo il cucchiaino, per raccogliere la goccia da far cadere nel bicchiere di acqua fredda, raccoglievo solo schiuma. E insomma, la cosa ha richiesto un tempo veramente insensato – saremo andati avanti per quasi un’ora, senza l’apparizione di nessuna bolla, di nessuna dimensione. Alla fine, stremata dall’impazienza, ho giudicato che la goccia nel bicchiere avesse resistito abbastanza tra le mie dita prima di dissolversi, e ho deciso che il momento era giunto. Levato dal fuoco, aggiunto il cioccolato spezzettato, mescolato fino a completa fusione. Versato nello stampo. Atteso un qualche cambiamento di stato.
Dopo tre ore al freddo del balcone, ho provato a tagliarlo.
Non l’avevo mai assaggiato, è vero, ma dalle foto l’avrei detto più consistente (mi sa che avrebbe dovuto cuocere un po’ di più). Comunque, cedevole e appiccicoso com’era, alla fine l’ho quadrettato tutto per bene, aiutandomi con copiose spolverate di cacao amaro per limitare la collosità. Poi ho fatto l’errore fatale.
Ho pulito il coltello col dito, e ho portato il dito alla bocca.
A me i dolci piacciono. Ma quello è stato veramente troppo. Se ci ripenso, lo stomaco ancora chiede pietà.
E insomma, tutta quella stomachevolezza s’è alleata con l’overdose alimentare natalizia e da tre giorni me ne sto assediata da un mal di testa che non se ne va, e una mancanza d’appetito che sfiora la nausea. Non sono abituata a nessuno dei due, e sono preoccupata per la cena di capodanno che vorrei organizzare qui a casa e a cui ovviamente non riesco nemmeno a pensare.
Il prossimo anno faccio solo biscotti. Promesso.
Avete passato un buon Natale?
Io abbastanza, nonostante l’incognita del pranzo solo-a-solo con mammà e i soliti pensieri che mi vengono sempre a Natale da un po’ di anni a questa parte (e con cui non ho ancora imparato a convivere).
È dopo che sono stata male.
Che sto tuttora male.
Tutta colpa del fudge.
Il pre-Natale è stato un gran successo, dal punto di vista della cucina. Per un paio di occasioni ho preparato delle nuove torte salate (una flamiche e due cake) che sono venute benissimo e, per una pigrona come me, poter aggiungere al repertorio tre nuove ricette in un colpo solo è stato sicuramente un risultato notevole. Ispirata e motivata da questo successo, ho pensato che potevo produrre anche qualche regalino randagio, visto che un buon 60% degli auguri riesco a farli solo dopo Natale, ché a me personalmente fa sempre tanto piacere ricevere qualcosa fatto dalle manine sante di chi mi vuol bene.
Così ho consultato un po’ di riviste di stagione e ho deciso.
Il fudge.
Questo sarebbe stato l’anno del fudge.
Che poi, il fudge, chi l’ha mai assaggiato? Leggendo la ricetta mi ero fatta l’idea che fosse una via di mezzo tra il mou e il cioccolato (e già questo avrebbe dovuto farmi riflettere). Ma siccome sicuramente nessuno, tra i probabili destinatari, avrebbe saputo di che si trattava, l’evangelizzatrice gastronomica in me s’è subito galvanizzata e issofatto è andata a comprare gli ingredienti.
Seconda occasione di riflessione buttata al macero.
La ricetta chiedeva mezzo litro di panna e mezzo chilo di zucchero. Poi, bontà sua, pure 150 grammi di cioccolato bianco. E mezzo bicchierino di Baileys, giusto per far impazzire il contatore delle calorie.
Con ingredienti così, come avrei potuto pensare di produrre qualcosa di anche solo lontanamente commestibile?
Ma niente, il giorno di santo Stefano mi sono rimessa ai fornelli. E l’Ordalia del Fudge è cominciata.
Che si sappia: mai mettersi a pasticciare con lo sciroppo di zucchero senza avere un termometro da caramelle. Come si chiama in italiano? Pesazucchero? Quella roba lì. Io avevo solo un modesto termometro da yogurt e quindi quel che è successo nella pentola superati i 100° resterà per me sempre un mistero. La ricetta diceva di far raggiungere al miscuglio i 130°, dando anche l’indicazione più nasometrica della media bolla; ma diceva anche di non rimestare più, una volta raggiunta l’ebollizione. E invece io ho rimestato eccome, altrimenti quando intingevo il cucchiaino, per raccogliere la goccia da far cadere nel bicchiere di acqua fredda, raccoglievo solo schiuma. E insomma, la cosa ha richiesto un tempo veramente insensato – saremo andati avanti per quasi un’ora, senza l’apparizione di nessuna bolla, di nessuna dimensione. Alla fine, stremata dall’impazienza, ho giudicato che la goccia nel bicchiere avesse resistito abbastanza tra le mie dita prima di dissolversi, e ho deciso che il momento era giunto. Levato dal fuoco, aggiunto il cioccolato spezzettato, mescolato fino a completa fusione. Versato nello stampo. Atteso un qualche cambiamento di stato.
Dopo tre ore al freddo del balcone, ho provato a tagliarlo.
Non l’avevo mai assaggiato, è vero, ma dalle foto l’avrei detto più consistente (mi sa che avrebbe dovuto cuocere un po’ di più). Comunque, cedevole e appiccicoso com’era, alla fine l’ho quadrettato tutto per bene, aiutandomi con copiose spolverate di cacao amaro per limitare la collosità. Poi ho fatto l’errore fatale.
Ho pulito il coltello col dito, e ho portato il dito alla bocca.
A me i dolci piacciono. Ma quello è stato veramente troppo. Se ci ripenso, lo stomaco ancora chiede pietà.
E insomma, tutta quella stomachevolezza s’è alleata con l’overdose alimentare natalizia e da tre giorni me ne sto assediata da un mal di testa che non se ne va, e una mancanza d’appetito che sfiora la nausea. Non sono abituata a nessuno dei due, e sono preoccupata per la cena di capodanno che vorrei organizzare qui a casa e a cui ovviamente non riesco nemmeno a pensare.
Il prossimo anno faccio solo biscotti. Promesso.
8 commenti:
Bene, mi hai convinta, allora non farò mai il fudge.
Tanti auguri per un anno migliore e... ricette migliori
Stefania
Qui in inghilterra (dove abito) talvolta mangio il chocolate fudge cake, che non è per niente male, anche se un po' pesante (lasciamo perdere la quantità di calorie...), quindi probabilmente ho la ricetta che ha fa pena oppure è più difficile di quanto sembri...
Talvolva comunque capita che le cose non riescano come ci si aspetta... del resto è un po' il bello della cucina (e di tanti altri hobby) : se fosse semplice che soddisfazione ci sarebbe?
Hai tutto il 2010 per provare altro.... Ovviamente buon anno!
hmmm chocolate fudge cake... somiglia per caso a quelle meravigliose torte tutto cioccolato e niente farina? quelle che restano sempre un po' crude (morbide) all'interno? se è così penso che mi piacerebbe molto e se tu volessi postare qui la ricetta o almeno il link... penso che te ne saremmo tutti molto grati :P
la ricetta del fudge (trovata sulla rivista Olive di dicembre) è stata crosschecked con altre, compresa quella di Mark Bittman, che è sempre il mio punto di riferimento quando non so come si fa una cosa :)
Quindi temo che sia proprio così, che non sia sbagliata intendo, e che semplicemente non incontri il mio gusto.
Per il resto, come dici tu, se fosse tutto semplice e venisse bene al primo colpo, che divertimento sarebbe?
:)
buonissimo anno a te, e anche a @Stefania-
comunque, pre la cronaca, la cena di capodanno è poi stata un successo :)
ciao,spero che adesso tu stia meglio!
complimenti per il blog
giusy
ti sei ripresa?
se vuoi ti passo la ricetta dei morbidi :-)
@alga: e me lo chiedi? passa, passa... ;)
(sto meglio, eh. Guardo ancora il cioccolato con un po' di sospetto, ma il bando alla dolcezza è stato levato. Ho anche in mente un post al proposito, chissà :)
@giusy: scusa, mi era sfuggito il tuo commmento! grazie mille per la visita e le carinerie :)
dimenticavo!
@martina: grazie per l'invito, ma a casa mi rifiuto di friggere :)
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