Quando mi sono innamorata delle zuppe, anni fa, avevo subito fantasticato di aprire un localino in una zona strategica (negozi, uffici) che servisse a pranzo solo zuppe, calde o fredde a seconda della stagione. La deformazione professionale mi aveva portato a pensare subito a come avrebbe potuto chiamarsi un posto così - è un problema mio: finché la *cosa* che ho pensato non ha un nome, non esiste. Poi magari vegeta col nome addosso per anni, o per sempre, prima di trasformarsi in realtà e quindi esistere a tutti gli effetti: ma restare senza nome non può. Beh, oltre al nome (*La Zuppiera*) avevo trovato anche il sottotitolo, *Bar à soupes*. Immaginate la sorpresa di comprare, anni dopo, uno dei già citati librini della Marabout e scoprire che la sua autrice aveva da poco aperto a Parigi il primo Bar à Soupes della capitale: io ci ho dato del naso casualmente quest'estate.
Le velleità da cuoca in grande sono evaporate presto (anche se avevo immaginato il locale nei dettagli, soffermandomi sul bancone in stile fast-food provenzale, con i vassoi di legno e le ciotole di terraglia, le sedie scompagnate e le piastrelle di colori misti, tutti mescolati, su tavoli e pareti. Vabbe'). La passione per le zuppe invece è rimasta e questa è la sua stagione migliore.
Le zuppe per eccellenza per me sono quelle di verdura, e tra queste le mie preferite sono da sempre passati e vellutate, per colpa di un imprinting spaventoso con il minestrone della refezione della scuola. Il mio gusto si sta evolvendo molto adagio, e da qualche tempo ho cominciato a tollerare la differenza di texture apportata da un pugno di pasta, preferibilmente fresca. E' il caso dell'unico tipo di pasta e fagioli che mangio: un passato di cannellini, vivacizzato da un soffrittino di lardo (lo dico pianissimo, in realtà l'olio d'oliva va altrettanto bene) aglio e salvia, e servito con dei maltagliati all'uovo cotti direttamente nel passato.
Ora però ho fatto la conoscenza con le zuppe di noodles all'orientale e mi si è aperto un orizzonte di cui, deliziosamente, non vedo la fine. Ve lo confesso ma venite qui vicino, che non si sappia troppo in giro: adoro quelle giapponesi istantanee nel barattolo monoporzione a tronco di cono, quelle che ci aggiungi una tazza d'acqua bollente, lasci stare tre minuti e poi mangi. Si chiamano Cup-Noodles e ogni volta che me ne preparo una ho nelle orecchie lo speaker degli spot demenziali che le pubblicizzavano in Giappone ('angriiii? cappanudel!).
Oltre alle schifezze prefabbricate giapponesi (le *vaccate* come le chiamava Snoopy in una striscia memorabile - *una delle gioie della vita è rimpinzarsi di vaccate*), mi piacciono naturalmente quelle servite nei ristoranti orientali, con noodles di tutti tipi, soba o udon o quel che è, affogati in brodi chiari o scuri, profumatissimi, aromatici e uno diverso dall'altro (ora che ci penso, dai miei spacciatori di ingredienti esotici, qui dietro Porta Palazzo, ho comprato una minuscola bustina di dashi, una polveretta granulosa marroncina che dovrebbe servire per il dashi-no-moto, il brodo giapponese, che però non ho ancora trovato il coraggio di usare).
Insomma lo vedete, come al solito non ho mezze misure: o la crema al cucchiaio, densa rassicurante e materna, o il brodo limpido farcito degli ingredienti più diversi (che, non so perché, mi ha l'aria molto più da adulti). Basta che stia in una ciotola.
E sto aspettando dal mio libraio preferito due golosissimi libri sulle zuppe della Covent Garden Company, marca strafamosa di zuppe politicamente corrette. Vi saprò dire.
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