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venerdì, maggio 26, 2006

Questa poi! (post camurrioso)

Aggiornamento del 27 maggio
Le cose non stanno esattamente come ho scritto ieri sera. Trovate la correzione al fondo del post. Mi scuso per l'inaccuratezza.

Il sito della Cucina Italiana è rimasto inaccessibile per qualche giorno.
Per combinazione, proprio la settimana scorsa avevo scoperto *Spazi Vostri*, un forum molto accogliente e cordiale, dove avevo presentato questo modesto blogghino e ricevuto un'accoglienza davvero speciale. Mi è spiaciuto quindi interrompere la lettura delle vicende del *condominio* (come si chiamano affettuosamente le frequentatrici).

Stasera, provo e il sito si apre.
Su questa pagina.


Non ci credevo, ho dovuto leggere due volte.
L'accesso ai forum è diventato a pagamento. E naturalmente anche la consultazione delle ricette. Per la modica cifra di 6 eurini al mese (e sono talmente miopi che non fanno sconti nemmeno se uno sceglie di abbonarsi per tre mesi in un colpo solo).
Ora.
Non è la cifra, è il concetto.
Ci sarà sicuramente qualche altro posto in rete dove per accedere bisogna pagare (esclusi i siti p.orno, intendo). Ma la rete, per definizione, è condivisione gratuita. Altrimenti non la usi, punto e basta. Vi immaginate se Epicurious, che raccoglie le ricette non di una, ma di tre riviste di cucina, si facesse pagare? Anche Martha Stewart, che tutto sommato mi sembra parecchio attenta al soldino (è pure finita dentro per insider trading, pensa te), ha un sito gratuito e ricchissimo, dove pubblica molti dei progetti che escono sul giornale, comprese tutte le ricette.

Mi pare di sentirli: Ennò carina, il giornale in edicola lo compri, perché pretendi di leggere le ricette a sbafo? E che, c'abbiamo scritto JoCondor?
Ma benedetti cucinaitalioti, ci vuol tanto a capire che un sito generoso fa miracoli per l'autorevolezza della testata e rende gli utenti (e i lettori) fedeli che più fedeli non si può?
E poi, scusate, ma che c'entrano i forum? Perché far pagare anche quelli? Come se mancassero in rete i luoghi dove incontrarsi e tenersi in contatto liberamente e, vivaddio, gratis.

Inutile dire che prevedo e soprattutto auguro un flop di dimensioni imbarazzanti.
E care quasi-nuove-amiche di condominio, mi spiace perdervi così subito, ma non posso pagare per chiacchierare con voi, è una questione di principio. Se traslocherete da qualche altra parte mandatemi una cartolina col nuovo indirizzo...

Aggiornamento
La consultazione delle ricette pare funzioni normalmente: l'abbonamento permette, in più, di vedere la foto e la tabella nutrizionale (elementi di sicuro fondamentali, che porteranno tutti a metter mano al portafoglio).
Meno male, certo: ma questo rende la situazione dei forum ancora più assurda.

mercoledì, maggio 24, 2006

Crumble di fragole

C'è stato qualcuno che ha osato dire "quello di mele è più buono".
Prima di credergli, provate questa ricetta primaverile.
L'ho preparata domenica per un bellissimo pranzo a casa di Laura, sotto la tettoia di una cascina in rinascita, e mi è piaciuta molto di più della sua variante invernale.
Sarà che di mele proprio non se ne può più.
Sarà che eravamo nel Posto delle Fragole, e non si poteva far finta di nulla.
Sarà che di fragole è finalmente tempo, e quest'anno più del solito mi va di mangiare cose di stagione. Come se fosse un rimedio piccino, ma volenteroso, alle dissonanze della mia vita – ecco, almeno con la stagione sono in armonia, in accordo, in consonanza.

Vabbè, e che è sta filosofia? La ricetta, dite. C'avete raggione, c'avete.
Le fragole saranno sei-sette etti, pulite, tagliate a pezzetti, cosparse con due cucchiai di zucchero (a piacere: dipende da quanto sono dolci di loro) e rinfrancate da un po' di brandy. Son la prima cosa da preparare, ormai sapete che per me lasciar tranquilli gli ingredienti (a lavorare per la causa: devo mica far sempre tutto io?) è sacro comandamento inviolabile. Mentre le fragole fragoleggiano, si prende il burro ben morbido, un etto, e lo si amalgama con la punta delle dita insieme a 100g di zucchero di canna, 160g di farina e un bel pizzicone di sale fino. A casa mia, dove scarseggiano lussi come piani di lavoro, spianatoie e tavoli di marmo, si fa tutto dentro una ciotola di pyrex. Con la punta delle dita, e non faccio per dire: quel che vi interessa è ottenere un bel mucchio di briciole, non una pasta compatta. Briciole e cioè, ovviamente, crumbles. In time the Rockies may crumble, Gibraltar may tumble – chiedo scusa, è il mio diggei mentale che non si fa i fatti suoi nemmeno mentre scrivo le ricette. (Tra l'altro, ho letto un'etimologia piuttosto buffa per il nome di questo dolce, ma non ricordo dove. Secondo il fantasioso autore, verrebbe dal rumore che fa il dolce sé medesimo mentre lo si mangia. Proprio.)
Nel frattempo non vi sarete dimenticati di accendere il forno a 180°, a differenza di me che ho dimenticato di dirvelo come prima cosa.

Con le briciole che avete preparato (e se non sono abbastanza briciolose sbriciolatele voi direttamente sulla frutta in attesa nella teglia) fate uno strato uniforme cercando di coprire tutte le fragole, che avrete disposto senza sovrapporle. Infornate per una mezz'oretta (forno elettrico ventilato), abbiate un'altra mezz'ora abbondante di pazienza (fatevi magari aiutare da una finestra aperta e da un po' di corrente) e poi godetevi questo piccolo incantesimo di primavera, meglio se addolcito da un po' di panna liquida fresca e fredda.

La teglia è quella del tiramisù, 25x35 circa. Le porzioni sono come minimo otto.
Divino, ve l'anticipo mentre aspettiamo che si faccia stagione, è anche quello con pesche e lamponi.

martedì, maggio 16, 2006

Pasta e asparagi

Come spesso succede, da una ricetta si arriva a un'altra. Sono partita da una, letta di sfuggita su una rivista e ricostruita a memoria, per arrivare a un'altra che è solo mia, e che mi piace mille volte di più.

Prima vi racconto la mia, che è anche di una semplicità incredibile.
Mettete al fuoco una pentola d'acqua piuttosto grande. Mentre si scalda, pulite 1,5kg di asparagi, mettendo in salvo i primi 4cm di punta e riducendo il resto del gambo a rondelline piccole, larghe 1cm circa, ma proseguendo solo per altri 3cm e poi basta.
(Sissi, è una ricetta spendacciona con un sacco di scarto. Se vi piange il cuore a buttar via quasi mezzo asparago per volta, puliteli bene, lessateli a parte e usate il brodo ottenuto per fare un risotto agli asparagi scappati.)

Quando l'acqua bolle, salatela poco più del solito e buttateci i pezzetti di asparago. Date 5min di cottura e poi aggiungete 240g pasta, in un formato corto che ci impieghi una decina di minuti e non di più (se ce ne mette di più, buttatela prima: in tutto gli asparagi devono cuocere al massimo 15min, dopo si disfano). A me piacciono molto le mafaldine e le mezze penne.

Per il condimento avete due opzioni:
· un pezzo di burro sciolto a fuoco dolce, e completato da una bella spolverata di parmigiano;
· un filo d'olio buono, accompagnato da un etto scarso di feta sbriciolata.

Nel primo caso, scolate pasta e asparagi insieme e fateli saltare brevemente in padella; aggiungete il formaggio e meravigliatevi.
Nel secondo, scolate il tutto in una terrina bella grande, sbriciolatevi su la feta e fate finta di essere a Santorini.

La genialata della ricetta sta nella cottura congiunta di asparagi e pasta, un metodo che finora avevo usato solo coi broccoli e le cime di rapa. A parte la rapidità e il risparmio di una pentola, la pasta in questo modo si insaporisce divinamente e il piatto finito ha un'armonia di gusto davvero speciale.

La versione burro-parmigiano è un grande classico di stagione; ma l'olio crudo e la feta vi stupiranno, se avrete voglia di essere un po' avventurosi.

(la ricetta di partenza prevedeva che asparagi e pasta lessati insieme venissero saltati in padella con rondelle di salsiccia rosolata per i fatti suoi e sfumata con un po' di vino bianco. Buona, ma troppo saporita, e la delicatezza degli asparagi andava perduta. Molto meglio così, sotto tutti i punti di vista – ed è pure vegetariana).

Per quattro persone.


Aggiornamento:
La pasta, cotta scolata e saltata nel burro e salvia, si può anche unirla a uno zabaione salato e trasformarla in una carbonara gentile. Le indicazioni, in mezzo a tante altre chiacchiere, si trovano qui.

Tiramisù alle fragole

Il mio fidanzato non ci credeva, che sarebbe venuto così buono.
Anch'io avevo qualche dubbio, ma per ragioni opposte.
Lui pensava che sarebbe venuto un pastone troppo dolce. Io temevo che invece non avrebbe avuto nessun sapore definito, visto il gusto acquoso delle fragole disponibili in giro.

Ci sbagliavamo tutti e due.
È venuto buonissimo.

L'unico difetto di questa ricetta, se di difetto si può parlare, è che con le dosi indicate ne vengono più di dieci porzioni. Se la dovessi rifare per i soliti 4 commensali – di più, la mia cucina non ne capisce – dimezzerei le dosi: perché è vero che gli ospiti sono in genere ben contenti di portarsene via una porzione; ma è anche vero che bisogna mangiarlo entro le ventiquattro ore, anche perché va obbligatoriamente preparato in anticipo (la sera prima per il mattino dopo).

La ricetta di base è di Giada de Laurentiis, ma ho dovuto modificarla. Pensate un po', questa magra signorina, che deve avere il metabolismo di una Ferrari, pretendeva che aggiungessi a mezzo chilo di mascarpone ancora quasi tre etti di panna montata. Argh. Non che il tiramisù normale sia tanto più light, ma a leggere di tutti quei grassi sentivo il girovita allargarsi da solo. Quindi, cara Giada, tu sarai anche la nuova guru della cucina italiana in America, ma io ho levato la panna e preparato la crema come faccio sempre per il tiramisù. Oh insomma.

» la crema del tiramisù according to milo «
Faccio sciogliere 150g di zucchero in un pentolino con pochissima acqua. Nel frattempo preparo due casseruole che possano stare una dentro l'altra, e nella più grande metto a scaldare qualche dito d'acqua per un bagnomaria. Nell'altra sbatto 3 tuorli e 1 uovo intero. Quando lo zucchero è diventato uno sciroppo trasparente lo verso a filo sulle uova, continuando a sbattere, e poi proseguo con un frustino elettrico con la casseruola nel bagnomaria. Come per fare uno zabaglione, insomma, con lo sciroppo di zucchero al posto del marsala. Quando il composto è chiaro e spumoso tolgo dal fuoco e faccio raffreddare nel lavandino, in un bagnomaria stavolta ben freddo, mescolando spesso.

Intanto mettete il mezzo chilo di mascarpone in una ciotola larga e lavoratelo con mezza fialetta di aroma vaniglia e due cucchiai di liquore (la ricetta diceva cointreau o grand marnier, io avevo del brandy ed è andato benissimo). Quando la crema d'uova è fredda li si mescola insieme.
Passate a preparare la bagna per i savoiardi, che è la cosa più stramba della ricetta: un vasetto di gelatina di fragole, diluito con il succo di due arance spremute e circa 120ml di liquore (lo stesso di prima). Se proprio non vi riesce di amalgamare la gelatina, potete intiepidirla su fuoco dolcissimo, ma a me con un frustino e un po' di energia è riuscito a freddo.
Prima di tutto questo, però, è meglio preparare le fragole, in modo che abbiano il tempo di produrre un po' di sughino: ce ne vogliono circa mezzo chilo, da tagliare a fettine sottili e da condire con due cucchiaini di zucchero.

Quando avete tutto pronto, cominciate a montare il dolce. Prendete una teglia di circa 25x35, dai bordi piuttosto alti altrimenti non vi sta.
Fate uno strato sottile del composto di gelatina, copritelo di savoiardi (un po' più di 100g) e ripetete lo strato sopra i savoiardi. Siate generosi perché da questo dipende la futura morbidezza dei biscotti. Sopra spalmate circa metà della crema di uova e mascarpone, poi fate uno strato di fragole (dovreste usarle quasi tutte). Ripetete con savoiardi (altri 150g circa), gelatina e crema. Vi anticipo che di fragole dovrete averne in frigo un altro mezzo chilo scarso, da cospargere in superficie al momento di servire.

Il dolce deve meditare ora, per cui lasciatelo tranquillo in frigo. Coprite la superficie con un foglio di cartaforno (a cui la crema si attaccherà molto poco) e poi sigillate il tutto con la pellicola. Se riuscite a far passare una dozzina di ore sarà perfetto.
Un'oretta prima di servirlo, tagliate le fragole rimaste in quarti (queste si vedono, per cui non fate sfracelli), conditele con i soliti due cucchiaini di zucchero e lasciatele stare fino al momento giusto, quando le disporrete con ordine sulla superficie del dolce.

lunedì, maggio 08, 2006

La dose quotidiana

Leggere di cucina per me è una droga.
Ho un intero scaffale, diciamo 2 metri per 1,30 per 6 piani, carico di libri e riviste, e già lo spazio scarseggia, i libri si infilano in orizzontale sopra i più bassi, le riviste esondano in cucina, eccetera. Nei periodi in cui non devo spendere giro al largo da edicole e librerie, perché se mi avvicino troppo non riesco a resistere e qualcosa finisco con l'assaggiare. È rimasta mitica una spedizione alla Hoepli di Milano, qualche mese fa, in cui ho scoperto uno scaffale con i libri stranieri in saldo: per una ventina di euro mi sono arricchita di uno splendidissimo volume sulla cucina di Van Gogh (in realtà, sulle sue preferenze alimentari e sulla cucina di un meraviglioso auberge di campagna dove lui andava spesso a mangiare, e che per fortuna esiste ancora), un manuale di variazioni sul pesto, un prontuario di cucina rapida kasher e un librone sui potluck, cioè i piatti per i porta-teco, quelle bellissime cene fra amici in cui ognuno porta qualcosa (e quindi: ricette per molte persone, per piatti da preparare in anticipo, piatti freddi, buffet, eccetera).
 
Detto questo, come se non mi bastasse tutta questa carta stampata, ho trovato un modo per assicurarmi la mia dose quotidiana di chiacchiere di fornello.
È una mailing list americana chiamata, appetitosamente, Soups-n-Stews. La sottoscrizione mi assicura un confortante introito quotidiano medio di una quindicina di post. La maggior parte sono ricette e spesso piuttosto improponibili, se non altro perché richiedono ingredienti che qui non si trovano, o usano tecniche di cottura per fortuna a noi sconosciute (mai sentito parlare di quell'obbrobrio chiamato slow cooker? Una pentola elettrica che cuoce la roba per ore, da mettere su la mattina per trovarsi il minestrone pronto alla sera, dopo 8-10 ore di cottura – ewww). Alcune però sono semplici e interessanti e mi è già capitato di provare e modificare con successo – una per tutte, una vellutata di cavolfiore alle mandorle che posterò presto.
Ma la cosa che preferisco sono gli articoli di giornale, che qualche anima buona si prende la pena di ricopiare e postare: i migliori sono quelli che raccontano la storia di un piatto, il suo posto nella tradizione del paese d'origine, il significato per le persone che lo cucinano.
 
Da qualche giorno il piacere è raddoppiato, perché la curatrice di Soups-n-Stews ha aperto una nuova lista, dedicata alla cucina etnica in senso lato (visto che per gli americani è *etnica* pure la ribollita toscana). Si chiama World-Cuisine e anche da qui mi piovono nella mailbox parecchi post al giorno. Come potrete immaginare, gli articoli di giornale sono particolarmente saporiti.
 
Se vi interessa, vi potete iscrivere qui:
http://www.cooking-lists.com/lists/soups-n-stews
http://www.cooking-lists.com/lists/World-Cuisine

venerdì, maggio 05, 2006

Perché?

Perché nel post precedente ci sono due caratteri di due corpi diversi e non riesco a convincere blogger che invece io ne voglio uno solo e sempre grande uguale?

Aggiornamento del 19 maggio:
problema risolto grazie a un suggerimento dell'empirica-ma-efficace Patt di Cuochidicarta.
Grazie!

giovedì, maggio 04, 2006

Cinco de mayo

Una delle cose che preferisco del cibo è che spalanca porte su mondi sconosciuti.
(La cucina etnica, certo, lo fa proprio di mestiere. Ma anche un piatto tradizionale locale lo fa. La prima volta che ho mangiato le orecchiette fatte in casa con le vere cime di rapa, comprate a Castellana Grotte (BA) e da lì giunte via aerea a Cesate (MI) insieme alla cuoca che le avrebbe cucinate, è stata un'esperienza culturale a tutti gli effetti.)
Detto questo, sapete cos'è il Cinco de Mayo?
Fino a ieri non lo sapevo neanch'io. Be', il cinque maggio di 144 anni fa, i messicani sconfissero a Puebla le truppe di Napoleone III. A Puebla. Cioè in Messico. L'avrò di sicuro studiato, a scuola, che Napoleone III si fece venire lo spinno di passare qualche mese in mare per andare a far la guerra ai messicani, che pare ci mettessero troppo a restituire un debito – ma chi se lo ricordava? Invece adesso, che l'informazione è arrivata insieme a un certo numero di ricette messicane festaiole, sono sicura di non dimenticarmela più.

Allora il cinque maggio per i messicani è grande festa, e io comincio a sentire profumo di cumino fin da qua.
E magari domani sera preparerò anch'io qualcosa di messicano, perché i motivi per far festa non sono mai abbastanza.

Per esempio.

In qualsiasi supermercato medio-grande oggi si trovano facilmente i kit per assemblare, come un mobile ikea, alcuni grandi classici della cucina messicana (anche se, essendo tutti di provenienza americana, sospetto possa essere più tex-mex che mex-e-basta). Si aggiungono gli ingredienti freschi e via, in poco tempo e con nessuna difficoltà è tutto pronto. Non sono mai stata in Messico e quindi non so come sia la v e r a cucina messicana ma, anche se i miei bravi dubbi filologici li ho, queste cose sono molto gustose e il mix di spezie codificato come messicano è tutto di mio gradimento – cumino, coriandolo, aglio, peperoncino, eccetera.

I tacos sono un'alternativa divertente a cene fai-da-te come bourguignonne e raclette, in cui la maggior parte del lavoro culinario lo fanno i commensali nel proprio piatto. Si prepara la carne (una specie di ragù piuttosto asciutto, aromatizzato con la bustina di spezie fornita nel kit), si riduce la lattuga a listarelle, si grattugia il formaggio (qualsiasi formaggio dolce e fusibile va bene), si versa dello yogurt intero bianco in una ciotolina e, volendo proprio strafare, si assembla una veloce salsa pico de gallo (pomodori crudi spellati e ridotti in dadolata, cipolla/cipollotto crudi tritati – socialmente riprovevoli, ma tanto bboni – pizzico di peperoncino e, avendocelo, un po' di coriandolo fresco tritato; filino d'olio). Fine del lavoro preparatorio. I commensali farciscono da sé i tacos riscaldati in forno, e poi provano a mangiarle sbrodolandosi tutti. Son cose belle.

Insieme ci può stare un po' di guacamole, divino intruglio verdolino a base di avocado, che io preparo in tre minuti netti usando il minipimer e soprattutto un'astuta bustina di spezie astutamente comprata in Francia (in Italia siamo ancora ai kit completi: in Francia, paese evoluto, vendono già le bustine da sole). Ma se vi interessa, e il cinquemaggio vi potrebbe anche interessare, ho trovato questa ricetta che potrebbe andare:

3 avocado maturi (se vi riesce di trovarne: se sono cedevoli è buon segno, ma non è detto)
mezza tazza di cipolla/cipollotto a dadini e poi tritato
mezza tazza di pomodori spellati e in dadolata
coriandolo fresco tritato a piacere
mezzo cucchiaino di cumino in polvere
succo di limone/lime
sale

Tagliate gli avocado a metà e levate i noccioli; incidete la polpa con la punta di un cucchiaio e trasferitela a pezzi in una ciotola, dove la schiaccerete con una forchetta. Unite il resto degli ingredienti, mescolate bene e non fate attendere, che nonostante il limone l'avocado diventa nero in un attimo.
Potete anche evitare la forchetta e amalgamare tutto con il minipimer; lasciate fuori il pomodoro, però, e aggiungetelo a cubetti alla fine.
Con questa dose, sappiatelo, avrete guacamole per un reggimento.

Ho anche provato il kit per le quesadillas, in cui un ripieno di pollo e formaggio piuttosto speziato è racchiuso fra due tacos piatti tagliati in quarti: buono.
Invece devo ancora provare quello per le enchiladas, specie di piadine (in realtà, tacos morbidi) avvoltolate a cannolo intorno a un ripieno di carne anche quello, credo, piuttosto assertivo nel sapore.

E buon Cinco de Mayo a tutti. Mi raccomando le piñatas...