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mercoledì, novembre 22, 2006

Crostata di pere e formaggio

Quasi un cheesecake, ma molto più leggero.

Foderate una tortiera da crostata con un disco sottile di pasta brisée. Sul fondo bucherellato sistemate a raggiera le fettine sottili ricavate da due pere non troppo grandi. A parte sbattete 2 uova con 4 cucchiai di zucchero di canna, un filadelfia piccolo e un goccio di liquore a piacere (rum, brandy, cognac, quel che avete sottomano). Distribuite sulle fettine di pera e mettete a cuocere nel forno già a 180° per 40 minuti.

Non pretendete di sformare subito la crostata, altrimenti si rompe.
Spargete la voce che avete messo un ingrediente misterioso e vedete quanti ci arrivano.

Aggiornamento:
l'ho preparata anche con due cestini di lamponi al posto delle pere e, com'era prevedibile, è venuta benissimo. Siccome i lamponi erano spagnoli e non mi sono fidata, ho aggiunto un po' di zucchero di canna nel composto di formaggio e ho spolverato i lamponi stessi, già nella tortiera foderata di pasta, con un cucchiaino di zucchero semolato (sarebbe stato perfetto quello a velo).

Ora aspetto di poterla fare con uno dei miei abbinamenti preferiti - sì lo so che son noiosa, ma certi matrimoni paiono davvero made in heaven: lamponi, magari del Trentino, e pesche gialle.

Ho dimenticato una precisazione importante: con queste dosi bisogna usare una tortiera non troppo grande, 24 cm al massimo, altrimenti la crema di formaggio forma uno strato troppo sottile (stavo per dire *si spetascia*, ma sapete che odio i tecnicismi).

mercoledì, novembre 15, 2006

Le bar à soupes

Quando mi sono innamorata delle zuppe, anni fa, avevo subito fantasticato di aprire un localino in una zona strategica (negozi, uffici) che servisse a pranzo solo zuppe, calde o fredde a seconda della stagione. La deformazione professionale mi aveva portato a pensare subito a come avrebbe potuto chiamarsi un posto così - è un problema mio: finché la *cosa* che ho pensato non ha un nome, non esiste. Poi magari vegeta col nome addosso per anni, o per sempre, prima di trasformarsi in realtà e quindi esistere a tutti gli effetti: ma restare senza nome non può. Beh, oltre al nome (*La Zuppiera*) avevo trovato anche il sottotitolo, *Bar à soupes*. Immaginate la sorpresa di comprare, anni dopo, uno dei già citati librini della Marabout e scoprire che la sua autrice aveva da poco aperto a Parigi il primo Bar à Soupes della capitale: io ci ho dato del naso casualmente quest'estate.

Le velleità da cuoca in grande sono evaporate presto (anche se avevo immaginato il locale nei dettagli, soffermandomi sul bancone in stile fast-food provenzale, con i vassoi di legno e le ciotole di terraglia, le sedie scompagnate e le piastrelle di colori misti, tutti mescolati, su tavoli e pareti. Vabbe'). La passione per le zuppe invece è rimasta e questa è la sua stagione migliore.

Le zuppe per eccellenza per me sono quelle di verdura, e tra queste le mie preferite sono da sempre passati e vellutate, per colpa di un imprinting spaventoso con il minestrone della refezione della scuola. Il mio gusto si sta evolvendo molto adagio, e da qualche tempo ho cominciato a tollerare la differenza di texture apportata da un pugno di pasta, preferibilmente fresca. E' il caso dell'unico tipo di pasta e fagioli che mangio: un passato di cannellini, vivacizzato da un soffrittino di lardo (lo dico pianissimo, in realtà l'olio d'oliva va altrettanto bene) aglio e salvia, e servito con dei maltagliati all'uovo cotti direttamente nel passato.

Ora però ho fatto la conoscenza con le zuppe di noodles all'orientale e mi si è aperto un orizzonte di cui, deliziosamente, non vedo la fine. Ve lo confesso ma venite qui vicino, che non si sappia troppo in giro: adoro quelle giapponesi istantanee nel barattolo monoporzione a tronco di cono, quelle che ci aggiungi una tazza d'acqua bollente, lasci stare tre minuti e poi mangi. Si chiamano Cup-Noodles e ogni volta che me ne preparo una ho nelle orecchie lo speaker degli spot demenziali che le pubblicizzavano in Giappone ('angriiii? cappanudel!).



Oltre alle schifezze prefabbricate giapponesi (le *vaccate* come le chiamava Snoopy in una striscia memorabile - *una delle gioie della vita è rimpinzarsi di vaccate*), mi piacciono naturalmente quelle servite nei ristoranti orientali, con noodles di tutti tipi, soba o udon o quel che è, affogati in brodi chiari o scuri, profumatissimi, aromatici e uno diverso dall'altro (ora che ci penso, dai miei spacciatori di ingredienti esotici, qui dietro Porta Palazzo, ho comprato una minuscola bustina di dashi, una polveretta granulosa marroncina che dovrebbe servire per il dashi-no-moto, il brodo giapponese, che però non ho ancora trovato il coraggio di usare).

Insomma lo vedete, come al solito non ho mezze misure: o la crema al cucchiaio, densa rassicurante e materna, o il brodo limpido farcito degli ingredienti più diversi (che, non so perché, mi ha l'aria molto più da adulti). Basta che stia in una ciotola.
E sto aspettando dal mio libraio preferito due golosissimi libri sulle zuppe della Covent Garden Company, marca strafamosa di zuppe politicamente corrette. Vi saprò dire.

Cake salato

Oh che questi post quotidiani non diventino un'abitudine, neh!
E' che avevo un po' di ricette provate e stipate da raccontarvi.

Ricordate la quantità imbarazzante di libri di cucina comprata a Parigi? Be' vi farà piacere sapere che, oltre alla quantità, c'è stata anche la qualità. Non sono ovviamente ancora riuscita a testare una ricetta per ogni libro comprato; ho saltellato qua e là, ottenendo però risultati sempre interessanti. E anzi, una ricetta-base estratta da uno di quei libri rischia di diventare un classico istantaneo: il cake salato.
Bellissimo lo è, e poi invitante, appetitoso, con quella sua promessa di sofficità e di ricchezza. Nella pasta dorata possono far capolino pezzetti di pancetta, di pomodoro secco, verdurine assortite, funghi, pinoli - tutti con l'aria di starci benone, e di volerci deliziare con un insieme armonico di sapori e consistenze diverse. Quindi, insomma, è da un po' che volevo provare a farne uno: ma ero preoccupata della riuscita, temevo che non lievitasse bene e che restasse sempre un po' umido, appesantito dagli ingredienti di farcitura. Per dire, in un plum cake dolce al massimo ci si mette la frutta candita, o la frutta secca tritata... mica 350g di purè di zucca!
Un librino della Marabout, che è una delle case editrici di cucina che preferisco, mi ha convinto a trarre il dado (ovviamente da brodo). La questione è semplice: si mette in proporzione molto più lievito che per una torta simile ma dolce. Più precisamente:

180 g farina
1 bustina lievito per torte salate
100 g di emmental grattuggiato
sale
pepe
10 cl olio evo
10 cl latte
3 uova

Questa è la ricetta-base, a cui potete unire, a pezzetti, gli ingredienti che preferite. Il mio primo esperimento è stato un cake alla pancetta e funghi, per cui ci ho aggiunto:
100 g di pancetta dolce soffritta, il grasso scolato via
40 g di funghi secchi
scalogno
prezzemolo tritato

Accendete il forno a 180°.
Ammollate i funghi in acqua tiepida.
Mescolate in una terrina piuttosto grande la farina e lievito.
In un'altra ciotola sbattete le uova, aggiungendo olio, latte sale e pepe. Quando è bene amalgamato versate sul composto di farina in attesa nella prima terrina. Mescolate con cura, aiutandovi magari con uno sbattitore elettrico per eliminare tutti i grumi.
Quando il composto è bello liscio, aggiungete il formaggio, i funghi (ben strizzati, asciugati e tagliati a tocchetti), la pancetta, una spolverata di scalogno liofilizzato ducros e una di prezzemolo.
Versare in una teglia da plumcake imburrata e infarinata (o no, se ne usate una di silicone come faccio io ;o) e infornate per 50 minuti circa.
Lasciate riposare qualche minuto, poi sformate e fate raffreddare su una gratella.
Tiepido è più buono.

Trovo che l'abbinamento migliore sia una bella insalata, magari con qualche ingrediente affine alla farcitura o già presente nel cake (tipo la pancetta). Perché, come dire, il cake riesce bello, dorato, lievitato e gustoso, ma sempre un po' troppo compatto: scordatevi la leggerezza degli equivalenti dolci, anche quelli più burrosi e, per quanto il profumo vi tenti, fate bocconi piccoli :o) Qualche fresca fogliolina di lattuga, valeriana, spinacino, tatsoi o mizuna, magari accompagnata da acini d'uva o spicchi di mela, è invece perfetta per alleggerirlo senza togliere niente al sapore.

Prossimo esperimento: la ricetta base + un purè di 350g di zucca (schiacciato alla forchetta) rosolata con con porri prezzemolo e pinoli. E i 3 albumi montati a neve separatamente.

Altre varianti (suggerite dal librino): pesto e pinoli, pomodori secchi e funghi, zucchine e feta (yum), peperoni e acciughe (suggerita da me).

martedì, novembre 14, 2006

lunedì, novembre 13, 2006

Back in style

...o almeno spero :o)

Spero di essere davvero tornata a postare con un po' di regolarità - senza esagerare neh, sempre milo sono. E spero che la ricetta scelta per il ritorno sia di vostro gradimento.

(non è successo niente di epocale in questi mesi - purtroppo, direi. Nessun nuovo lavoro strapagato e ultraprestigioso mi ha tenuto lontano dal blog. Sì, abbiamo fatto dei lavoretti in casa (=ordine ;o), dato forma a una stanza che ne aveva bisogno, comprato delle meravigliose librerie Billy rosso scuro che stanno benissimo. Tutto qui. I disgusti sul lavoro, quello vero, si sono in compenso moltiplicati e questo ha provocato la tipica reazione di fuga nel *mondo dei sogni*: ecco perché invece su minicaretti sto postando parecchio.)

Allora, la ricetta.
Mi è arrivata via mail qualche settimana fa, dalla solita benemerita lista world-cuisine, spacciata come una specialità di una trattoria milanese chiamata La Piola (milanesi, ditemi voi: esiste siffatto locale?). E' un risotto al gorgonzola con le pere. L'ho preparato ieri sera usando il nuovo riso Gallo Blond *veloce e versatile*, che cuoce in 8 minuti veri - l'ho fatto per necessità, perché era tardi: ma, ripensandoci, è stata un'altra serendipità fortunata, perché il tempo di cottura richiesto da un riso normale avrebbe dissolto completamente le pere.

200g di riso da 8 minuti
mezza cipolla
1 pera (kaiser, decana, abate) media e non troppo morbida (o 2 piccolette)
1 litro circa di brodo di pollo
gorgonzola a piacere
un pezzetto di burro
una spruzzata di vino bianco
pepe nero

Tritate la cipolla, fatela soffriggere gentilmente nel burro e poi aggiungete la pera, pelata e tagliata a tocchetti regolari. Aspettate un minutino, sempre mescolando, poi unite il riso, fate tostare, bagnate col vino eccetera eccetera. Quando il riso è quasi pronto, ma ancora abbastanza all'onda, unite il gorgonzola a pezzetti e mantecate finché non si scioglie completamente, a fuoco spento. Una macinatina di pepe e poi coperchio, a riposare per qualche minuto.
Con questa dose hanno mangiato due persone, di cui una particolarmente affamata.

Il riso da 8 minuti è stata una sorpresa: gustoso, saporito, dalla consistenza piacevole sotto i denti, ovviamente non sfarina e mantiene la promessa di essere pronto in metà tempo. Nel risotto assorbe quasi la stessa quantità di liquido del riso normale; nel pilaf non so dirvi, ancora non ho provato.
Se volete preparare questo piatto con del riso normale, aggiungete le pere solo a metà cottura.

Son contenta di essere di nuovo qui :o)